Ulteriori riflessioni di Raffaele Iosa

Alle riflessioni di ieri facciamo seguire altre considerazioni di Raffaele Iosa su quella che oggi non può che essere la “scuola della vicinanza”.

BUONA SETTIMANA SLOW, AMATA  SCUOLA DELLA VICINANZA

Inizia stamattina la terza settimana, in qualche regione la quarta, di scuole
chiuse. Il corona virus imperversa. Ai nostri ragazzi tocca non solo stare a casa
da scuola ma anche stare a casa e basta.  Questo isolamento e assenza dalle
strade quotidiane costa molto a noi ma ancora di più a loro.
E più si va avanti  nel tempo più costerà. Ma anche insegnerà nuovi e antichi
valori dell’esistenza, come il dolore, la speranza, la resilienza assieme alla
rabbia, alla noia, all’anomia.

In questo periodo sono tornato a modo mio a lavorare: decine di messaggi fb,
molte telefonate, ho letto l’iradiddio di idee, visto materiali i più vari mandatimi da
insegnanti. Detesto questa maledetta pensione che mi vorrebbe “in quiescenza”.
Quindi fin che posso parlo e scrivo, appassionato dallo straordinario (inatteso e
unico nella storia) evento collettivo di apprendimento sul campo che la
grandissima parte degli insegnanti sta facendo per rispondere all’emergenza,
inventandosi cose di tutti i colori per salvare una relazione con i loro bambini e
ragazzi.  Uno slancio pedagogico vero, che rende questa fase opposta rispetto
alla tradizione: impariamo facendo non ascoltando, lavoriamo  più che a scuola,
non riusciamo a levarci via  l’assenza. Di loro.

Per questo ho chiamato questa fase non quella “ufficiale” di didattica a distanza,
ma della didattica della vicinanza. Lo scopo dell’uso di queste strepitose (ma
anche pericolose) macchine virtuali è apparso a moltissimi centrato sul ricreare
la vicinanza ai ragazzi più che  scimmiottare la scuola normale (e peggio
tradizionale) ma fatta con il computer. Insomma didattica della vicinanza non
(tanto o solo)  per evitare che i ragazzi perdano l’anno scolastico ma per evitare
che si perdano davanti all’assenza di un mondo di relazioni, scambi, conoscenze

condivise date dall’emergenza covid 19. Perché si impara insieme, insieme si
cresce, chiusi in casa si sfiorisce.
Ma l’emergenza e la virtualità  ci obbligano a ripensare criticamente alle nostre
tradizionali didattiche, altrimenti possono diventare solo noiose e trite lezioni.
Forse questa fase avrà l’effetto che dopo, tornati a scuola, si sia migliori.
Miracolo dei momenti di crisi. D’altra parte le più grandi innovazioni didattiche e
pedagogiche sono figlie di crisi: Jean Itard e il suo fanciullo selvaggio, Maria
Montessori e i suoi bambini disabili, Decroly e i figli dei minatori belgi, Celestin
Freinet e i  bambini campagnoli della Provenza, Don Milani con il suo I care.
Abbiamo una storia, non veniamo dal nulla.
Mi piacerebbe quindi che la “scoperta” della didattica virtuale come risposta
all’emergenza diventasse anche una ri-scoperta (al ritorno in classe) di un
attivismo didattico e pedagogico che in questi anni è andato perduto per modelli
quantitativi di apprendimenti direttivi, precocismi,  schede su schede e lezioni
frontali a tutto spiano.

DAL FAST ALLO SLOW
In queste settimane, presi dall’ansia amorevole di coprire l’assenza, moltissimi
insegnanti hanno forse esagerato. Col cuore, si intende, non per cinismo. Con
quello che gli insegnanti erano prima adattato alle macchine. Da qui forse troppe
lezioni virtuali ancora frontali, e troppi  compiti mai questa volta “per casa”.  Ha
accompagnato questo rischio di una scuola fast  l’irrompere magico dell’uso di
queste macchine grasse e veloci di contenuti, facilmente copiabili e accessibili,
una sterminata mole di documentari, giochetti, foto, testi, immagini e così via tali
da far correre il rischio di una bulimia didattica. Presi dalla tristezza di sentirli a
casa smarriti, forse troppi insegnanti hanno annegato i loro ragazzi nel troppo. E
si sono fatti sedurre dalla quantità mostruosa che Internet ci offre. Con il rischio
non di navigare ma di annegare nelle onde del tanto. Tipico e umanissimo
atteggiamento  in stile Candy Candy: dargli tanto e di più. Sta capitando anche
nelle scuole francesi (me lo dicono colleghi dell’esagono), e il rischio è quello di

ragazzi affannati per ore davanti allo schermo, genitori imbarazzati a  fare con
loro troppi compiti.
Mi permetto quindi, con l’umiltà del vecchio maestro, di suggerire alcuni pensieri
anche igienici e per me necessari man mano che l’emergenza continua e la
solitudine a casa persiste:
– Create eventi didattici fatti in modo che i ragazzi  vi facciano domande  non
invece cui si
chiede risposte. Cioè una didattica interattiva della ricerca comune non del
travaso di saperi. Il momento è questo: una comunità in cammino non un gregge
controllato dal cane pastore.
– Fateli parlare tra di loro. Scambiarsi stati d’animo, ma anche ironia, tristezza,
gioia di
vedersi, scambio di cosa si è imparato da questo evento. Non è difficile, lo
facciamo anche noi con i nostri amici e parenti quando li chiamiamo per sapere
come stanno.
– Rompete   lo schema tayloristico di una materia dopo l’altra, mettetevi
d’accordo tra di
voi per non sovrapporvi l’uno con l’altro a riempire i ragazzi di troppi compiti. E’
ora di azioni più multidisciplinari possibili, quanto meno di una relazione pensata
tra diverse discipline.
– Tenete fuori il più possibile i genitori. Non per cattiveria e neppure perché anche
loro
sono affaticati, ma perché babbo e mamma sono utili magari ad aprire le
macchine, ma le attività nelle classi virtuali possibili sono buone se i ragazzi si
sentono liberi e capaci di autonomia, altrimenti creiamo nuove inutili dipendenze.
– Valutate sempre, ma non come rito stanco della scuola dei voti (quante
chiacchere su
questo tema). I ragazzi hanno bisogno di sapere come va, di fare domande su se
stessi
come sul mondo. La didattica della vicinanza aiuta a creare belle strategie di
autovalutazione. Non preoccupatevi della pagelle, alimentate tra di voi e loro la

valutazione formativa, che valuta sia loro che voi, perché tutti in questa nuova
esperienza didattica stiamo imparando, e anche i ragazzi ci insegnano. Avrete
tempo dopo di fare una sintesi numerica complessiva, ma adesso conta il
rinforzo non il giudizio, la scoperta dell’errore come leva per migliorare non il suo
stigma numerico, la differenza di performances come valore non come scala.
– Cercate insomma di fare una scuola slow, non solo più lenta ma anche più
profonda,
gustosa, che non riempi per forza di immagini, video, scritti, ma solo quelli
giustamente necessari. Il resto se lo cerchino loro, da soli.

ATTENZIONE A CHI NON CE LA FA
Vedo ancora molte difficoltà nei confronti dei ragazzi con disabilità e di quelli che
non hanno a casa supporti informatici sufficienti. Sarebbe paradossale e
vergognoso che l’emergenza facesse male a chi ha più bisogno. Dunque
– Per i nostri ragazzini con disabilità: non è questione solo degli insegnanti di
sostegno, non
lasciateli nell’isolazione, create eventi dove siano tutti presenti e coinvolti,
qualche roba di individuale può anche andar bene, ma questo è il momento della
cooperazione tra ragazzi dove tutti aiutano tutti. Guai alla  formazione di aule
virtuali h. Ne fanno già troppe e scuola.
– Per i ragazzini in difficoltà economiche e senza strumenti: cercate tutti i modi di
procurarveli, anche con le collette, nessuna scuola è giustificata a rassegnarsi.
Chiamate il sindaco, il parroco, il volontariato, i ricchi pieni di rimorsi per le
evasioni fiscali del passato (se ce ne sono). O ci salviamo insieme o siamo tutti
perduti.

Ho scritto queste cose all’alba di un lunedì un po’ livido. Sto imparando anch’io
perchè per quanto abbia studiato questo nuovo è nuovissimo anche per me.
Quindi è normale che io possa aver  detto anche qualche sciocchezza, che in
qualche punto io sia troppo lirico e poco prosaico, che altri abbiano idee diverse
ma comunque interessanti da confrontare,  E’ il momento di non perderci tutti e

di restare soli davanti al nostro video, di scambiarci fraternamente saggezze e
sciocchezze. Perché la Pedagogia è così: l’arte delle prove ed errori in un
orizzonte di comune umanità: non salvare l’anno scolastico ma l’ educazione
democratica come necessario patrimonio per il futuro in questo martoriato paese.

Immagine: Darwin Peacock